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La
terza raccolta, Una x una del 1998, prosegue con coerenza la ricerca avviata
nei primi due volumi. Dal punto di vista stilistico si nota una sostanziale
continuità, che non significa ripetizione ma evoluzione graduale
e, allo stesso tempo, ricreazione. Il tono è sempre prevalentemente
narrativo, la sintassi permane colloquiale e lineare, decisamente antipoetica,
priva di inversioni, di iperbati e di quanto appartiene al bagaglio di
artifici generalmente identificati con lo spartiacque che divide la prosa
dalla poesia. La ripetizione dei nessi linguistici della partitura poetica
prende ancora la forma prevalente dell'anafora, ma in qualche testo coinvolge
anche la componente metrica, come in Ali, in cui l'insistenza sull'identità
fonica della terminazione dei versi crea un piacevole effetto straniante.
Il lessico rimane fondamentalmente quotidiano, privo di qualsiasi ricercatezza
letteraria, di arcaismi, di preziosismi di sorta; ed anche in questo caso
il contenitore verbale sembra doversi espandere all'infinito, evitando
qualsiasi censura sul materiale lessicale degno di accedere al territorio
della poesia: ecco quindi espressioni come "chi se ne importa",
"sensuale sindrome iniziatica", "subliminale", "laser",
"microfrattura", "tuberi", "ci becca sul collo",
"ficcarti", "imprinting", "il dosaggio delle
molecole", "delirio di onnipotenza", "m'ama o non
m'ama". In questo contesto si trova anche qualche richiamo esplicitamente
letterario, peraltro opportunamente filtrato e ricreato, come in Se tu
fossi che strizza l'occhio al più noto enueg di Cecco Angiolieri.
La novità più sgnificativa però, in Una x una, riguarda
la sfera dei contenuti. In particolare la poesia si fa, in alcuni testi,
metapoesia. La poesia parla di se stessa, contiene affermazioni di poetica,
e lo fa in modo ora esplicito, ora più mediato. Si afferma che
la poesia è l'"antidoto alla banalità", e, in
prospettiva fiabesca, ha la stessa funzione delle "briciole, mollichelle
di pane" che costituiscono una semplice ma fondamentale traccia di
orientamento nei confronti degli altri e di se stessi. Ma le affermazioni
di poetica vengono filtrate anche attraverso dichiarazioni non esplicitamente
riconducibili a quest'ambito, ma che inevitabilmente finiscono per trovarvi
riferimento. È come se la poesia non potesse fare a meno di fare
riferimento a se stessa. Così le "preziose spie del tutto"
sono le piccole cose che si fanno emblemi, simboli di realtà più
grandi, più suggestive, ricche di una valenza semantica non immediatamente
percepibile, sulle quali si concentra lo sguardo del poeta, che va alla
ricerca di una "collezione di oggetti invisibili". La poesia
stessa si connota come l'espressione delle "cose che non sappiamo
dirci", dell'ineffabilità, in una ricerca di una nuova possibilità
comunicativa che spinge a chiedersi se "rimane qualcosa da dire /
che già non sia stato detto". E la prospettiva va dal piccolo
al grande, l'attenzione si concentra sulle cose minime, che nella loro
dimensione invisibile si sottraggono alla corruzione, alla banalità.
Il processo comunicativo della poesia si presenta come "dilatazione
... per trasmettere / dalle lontananze ai distacchi / verso l'ultima assenza":
una comunicazione sempre sospesa tra il bisogno e l'impossibilità,
tra la necessità di sottrarsi alla normalità e il rischio
di non riuscire ad esprimere. Tale dimensione si concretizza nel desiderio
di reificarsi, di diventare una cosa, per concentrare la comunicazione
su una dimensione altra, che coincide con la trasformazione dell'essere
e delle sue relaizoni, come accade in Metamorfosi.
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