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La
seconda raccolta, Diverso inverso del 1995, si colloca in un rapporto
di continuità e allo stesso tempo di intimo rinnovamento nei confronti
della precedente. Anche in quest'opera si nota un tono fiabesco (Omaggio
a Frank Capra; Zona incolta) al quale si affianca un'intonazione acre
e polemica (La Diva). Tra questi due timbri, opposti ma speculari, prendono
corpo storie talora collocate all'interno di una prospettiva magica e
incantata, un po' da fanciullino pascoliano, in cui al di là della
vita produttiva e caotica dobbiamo "accorgerci / della prima goccia
di pioggia / che ci bagna la mano / quando il temporale / si avvicina".
L'accento di queste poesie viene posto sul narrare: l'obiettivo dichiarato
consiste nel restituire alla gente le sue storie perdute. Così
i fatti della vita quotidiana si caricano di pregnanza e di grazia, e
il raccontare diviene centrale. Al centro di queste narrazioni si trova
in primo luogo l'io dell'autrice, come nella prima raccolta, ma ora si
tratta di un io anche fisico, che si materializza nelle sue parti: le
mani, il capo, i tendini, le ossa, i piedi, i muscoli, la pelle, la bocca,
i denti, il naso, le guance, la fronte. E la materializzazione della realtà
prende corpo anche negli oggetti che si trovano in questi testi con la
funzione di catalizzatori del discorso: una "matita azzurra",
il "grembiulino inamidato di Alice", una "corazza col cimiero
a pennacchi colorati". E le presenze non si limitano a parti del
corpo e ad oggetti, ma comprendono anche persone, reali o fantasmatiche:
"Severino Gazzelloni", la "Diva", il "trovatore
di turno", lo "spacciatore anomalo", la "Chiromante",
lo "scultore Giovanni", un "signore stravagante",
"Sherlock Holmes".
Poesia dunque animata da molte e varie presenze che le forniscono vita
ed energia, che la collocano nel mondo, non al di fuori di esso. Poesia
che percorre la vita e attraversa se stessa secondo l'immagine dantesca
del viaggio per mare, durante il quale la Paolini dice di portare con
sé le cose "che non avrei mai voluto / di cui a lungo / ho
avuto paura / e ora mi appartengono tanto / da divenire irrinunciabili".
Poesia che viene descritta come fatica tale "da esaurire in sé
ogni finalità". Fatica che integra e completa, senza negarla,
la concezione di poesia come abitudine, dichiarata in Impronte digitali.
Qualche osservazione sullo stile di questa seconda raccolta, che conferma
e prosegue la ricerca evidenziata nella scrittura di due anni prima. Il
lessico è caratterizzato da una presa di coscienza dell'ineffabilità
con cui si deve misurare la comunicazione poetica. La poesia così
si trova a dar voce a ciò che non può aver voce, perché
non appena espresso si perde; affronta la sfida di misurarsi con quelle
parole che "erano apparse giuste ad esprimerlo [e che invece] rotolano
nel buio e restano illeggibili". Nasce così un lessico aperto
a tutti gli apporti possibili, dal gergo alle espressioni tecniche a tutti
i codici disponibili. In questo modo nei versi si trovano "la complessità
dei sistemi", "i cancelli delle fabbriche", "il sistema
produttivo", "il sistema dei trasporti", "il sistema
educativo", le "sinergie", gli "automatismi",
il "tubo catodico", l'"audience", il "body building",
il "mouse". La realtà entra nel territorio della poesia,
lo intride, lo pervade nelle sue fibre più nascoste. E così
lil mondo ridotto a linguaggio si concretizza in frasi e stilemi consueti
e volutamente frusti utilizzati in accezione straniante e, a suo modo,
ironica: "dirci tutto quello / che avremmo voluto sapere di lei /
e non osavamo chiedere"; "episodi di vita vissuta"; "di
natura procedurale". La sintassi si mantiene ampia, narrativa, priva
di inversioni e di slogature strutturali. L'uso di iterazioni, ed in particolar
modo di anafore, permane e dà ai testi un ritmo che non è
riconducibile tanto a vera musicalità, quanto piuttosto a un battito
interiore: "il ritmo che si salda alla parola / lo esalta e lo struttura"
(Esilio dell'anima).
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