DINAMICHE
INTERNE ALLA POESIA DI CARLA PAOLINI
Gian Luca Barbieri
La produzione poetica di Carla Paolini presenta uno sviluppo continuo
attraverso le quattro raccolte che hanno visto la luce finora. Uno sviluppo
non lineare, non orientato in un'unica direzione, ma circolare, dialettico,
sospeso tra uno sguardo rivolto all'indietro e uno complementare che segue
percorsi inediti in uno spazio aperto e labirintico. Due direzioni che
si intrecciano in modo assai creativo e si giustificano reciprocamente.
Impronte digitali, la prima raccolta del 1993, presenta un tono molto
duttile, ora sospeso tra fiaba e realtà (Il cavaliere degli ippocastani),
ora ironico (Incompatibilità alimentare; Un bravo padre; Al party);
ora caratterizzato da grande freschezza epigrammatica (Vita numerata;
Non siamo eroi; Amare la gente; Amicizia); ora vivificato da un'intonazione
suggestiva e sintetica (Il sorriso), oppure distesa e narrativa (Il giardino;
L'attesa).
I temi trattati, vari e multiformi, vedono al centro l'io poetico dell'autrice,
e danno vita ad un'indagine condotta sul margine che collega e separa
la memoria e il presente, con l'attenzione centrata sui moti più
impalpabili dell'anima. Collegati all'io, l'amore, tra illusione e disillusione,
sempre misurato attraverso il tempo che guasta la perfezione del meccanismo
emotivo; il sogno come conoscenza esoterica e privilegiata, intimità
misteriosa e affascinante; la notte; il silenzio; la famiglia; l'abitudine
vissuta come rifugio, equilibrio e conforto; la scrittura concepita come
creativa abitudine che cerca un senso all'esistenza. Particolarmente interessante
lo stile, con una sintassi spesso orientata in direzione prosastica (Risposte;
Gioco sul marciapiede; Abitudini), sottolineata dal ricorso alla struttura
interrogativa per dotare il testo di un tono più colloquiale (Felicità;
Menzogne) o più suggestivo, con il recupero di qualche eco leopardiana
(La notte). Il lessico appare aperto alle più varie suggestioni,
sempre però all'interno di quella che l'autrice chiama "semplicità
della parola", una parola "liberata dall'aura delle significazioni
colte / fuori dai luoghi retorici / [che si vorrebbe sentire] scorrere
forte e chiara / nelle strade, nelle piazze / e raggiungere l'essenza
/ nei posti dove si ammucchiano / tutti quelli / che non contano niente"
(La parola). E sempre a livello lessicale si notano aperture straordinarie,
in direzione di espressioni gergali ("ti frega in curva"; "un
bastardo così così"), tecnicismi ("input",
"output"), parole di moda usate in funzione straniante ("efficiente
e supernutrita"), neologismi ("geniose e sregolanti").
Al di sopra del lessico si innesta un impiego accurato e affascinante
di artifici spogliati della loro funzione propriamente retorica, che forniscono
alla parola un alone di sensibilità quasi fisica: effetti fonici
giocati sull'allitterazione, sull'assonanza e sulla paronomasia ("labirinti
... impronta"; "mente muteranno"; "ombra ... sonda";
"nonostante tutto è rimasto intatto"); iterazioni ("in
un mattino uguale di un giorno uguale"; "dei nostri segreti
più segreti"); anafore; anadiplosi ("una nuova amica
/ un'amica bambina").
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