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Vite Parallele: Poesie e
letteratura per ragazzi
Intervista a Carla Paolini
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Intervista
con la poetessa Carla Paolini
di Gianluca Barbieri
LA
CRONACA di Cremona, Casalmaggiore, Crema
Mercoledi
18 luglio 2001
E' uscito da pochi giorni il
nuovo libro di poesie di Carla Paolini, "Ai cancelli del flusso", edito
a Udine dall'editore Campanotto. Il volume è il quarto dell'autrice
cremonese e segue "Impronte digitali" del 1993, "Diverso inverso" del
'95 e "UNA x UNA" del '98. Accompagnato da una prefazione di Gianni di Fusco e da una postfazione di Gian Luca Barbieri, il volume si trova
attualmente in attesa della presentazione ufficiale, che avverrà
ufficialmente all'inizio di ottobre presso 1a sede dell'A.D.A.F.A.
Ciononostante, abbiamo voluto contattare l'autrice per avere qualche
informazione in anteprima sul suo lavoro.
Il tuo nuovo libro si intitola
"Ai cancelli del flusso" qual è
il significato di questa suggestiva immagine?
E' il primo libro che ho
cominciato a scrivere con il computer. L'idea era di scrivere senza
pormi troppi limiti di argomento, di stile, di lessico perchè mi sono
resa conto dopo aver scritto gli altri libri che prima avevo sempre
iniziato a scrivere sotto la suqqestione
di un tema da trattare e quindi
avevo un argomento preciso, a cui attenermi. Mi sono resa conto però che
in questo modo si perdeva una parte della mia immaginazione che è parte
costitutiva della creatività; necessariamente questa era esclusa dalla
scrittura proprio perchè dovevo attenermi a qualcosa di preciso di
predeterminato. Scrivendo questo libro mi sono riproposta di dare spazio
a questa parte che finora era stata esclusa dalla scrittura proprio per
l'intento che avevo di seguire un progetto. Questo dunque è il flusso
del titolo, il flusso dell'immaginazione. I cancelli sono qualcosa che
immagino si apra per togliere una barriera.
I titoli delle poesie
sono semplicemente dei numeri, scritti in parola: uno, due, tre, fino a
cinquantanove.
In totale dunque sessanta testi, dato che la numerazione inizia
da zero. C'è un motivo che spiega questa scelta?
Il motivo è legato
al fatto che non c'è un
argomento preciso che fa iniziare la scrittura.
Normalmente il titolo è una
sintesi del tema che verrà trattato nel testo. In questo caso il numero
è in relazione al flusso di cui si parlava, è il risultato della volontà
di non imbrigliare il senso del testo. Il semplice numero contribuisce a
dotare la raccolta di quell'apertura che è innanzitutto strutturale,
oltre che di significato. E il sessanta è un numero che mi piace perchè
è un multiplo del tre, il numero perfetto.
"Ai
cancelli del flusso" è stato pubblicato dall'editore Campanotto di
Udine. La tua precedente raccolta, "UNA x UNA",è stata edita da Baroni
di Viareggio. E per caso il segnale di una sfiducia nei confronti degli
editori locali?
No è stato in
entrambi i casi un incontro casuale.
Con l'editore Baroni è stata una conoscenza
avvenuta attraverso la mediazione del professor Monterosso che mi aveva
scritto la prefazione del libro e che mi ha presentato questo editore.
Nel secondo caso invece ho
conosciuto l'editore in occasione di una lettura di poesie avvenuta la
scorsa estate sui treni nella tratta Cremona-Mantova, che questo editore
aveva organizzato insieme alle Ferrovie. C'erano molti poeti che
provenivano da tutte le parti d'Italia. In seguito alla mia lettura sul
treno questo editore mi ha contattato per sapere se avevo testi inediti
da pubblicare: Si è offerto lui, insomma. Poi devo ammettere che,
affidandomi a qualche editore di un certo peso, spero che la
distribuzione del libro venga effettuata in modo più capillare, tenendo
conto che il mercato della poesia è quello meno vivace dell'editoria
italiana.
E questa difficoltà di vendere libri di poesia come si spiega, a
tuo parere?
In parte la responsabilità è
anche nostra, di noi poeti che
siamo troppo lontani dalla realtà
della vita. Spesso il nostro linguaggio è anacronistico e anche i
contenuti sono lontani dalla esperienza della vita reale.
La sfida
è proprio quella di trovare un
linguaggio
che sia alto, interessante, ma che offra al lettore la possibilità di
accoglierlo come proprio, non estraneo.
Nella
postfazione si legge una frase abbastanza particolare: "Non contano più
tanto i significati quanto i significanti, e di questi viene evidenziata
la componente superficiale, orale, evanescente, musicale, asemantica
costituita da suoni". Sei d'accordo con questa interpretazione riferita
alla tua poesia?
Sì, sono d'accordo, perchè
contrariamente alle opere precedenti nelle quali il significato era
fondamentale e lo stile era funzionale al significato stesso, in questa
raccolta ho lasciato andare l'immaginazione, descrivendo quello che
questa mi suggeriva.
Infatti le mie poesie le vedo
prima di scriverle; tutto quello che è immagine mi suggestiona. Anche la
superficie della parola, la sua componente non necessariamente legata al
significato, il suo suono, il suo ritmo sono dati fondamentali,
soprattutto per la poesia.
Questa deve avere un'oralità che sia facile da
accogliere, che ti entri durante la lettura, che strutturi i pensieri
del testo con quelli che si generano nel lettore per simpatia con i
segni grafici della pagina.
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Intervista
a Carla Paolini
a cura di dAVe - Associazione culturale Micene
Innanzittutto sarebbe carino conoscere qualcosa in più su
di Te, non so... come è nata la passione per la poesia che poi,
mi sembra di aver intuito, è diventata un lavoro praticamente
a tempo pieno... se fai altre attività nella vita... se hai punti
di riferimento professionalmente importanti dai quali hai attinto qualcosa
o che Ti hanno ispirata..
Il mio interesse per la poesia è nato in
età giovanile ed ha continuato ad accompagnarmi anche quando
per diversi anni ho lavorato, per evidenti ragioni economiche, presso
un ente pubblico.
Ho iniziato, come fanno tanti ragazzi, cercando di tradurre in parole
i pensieri e le sensazioni da cui ero investita. Mi è stato subito
chiaro che questa attività richiedeva uno sforzo di attenzione
alle cose molto intenso e la necessità di soffermarsi su quanto
avveniva non solo dentro di me ma anche intorno a me.
L'intento era quello di capire meglio, per quanto possibile, il perchè
delle cose.
Alla scrittura si è affiancata in modo spontaneo e disorganizzato
la lettura, come bisogno inderogabile per soddisfare una inesauribile
curiosità e come strumento per arricchire non solo il pensiero
ma il linguaggio, indispensabile mezzo per esprimersi.
Da questa "fonte meravigliosa" ho tratto tutti i punti di
riferimento per poter continuare a scrivere.
Alcuni esempi:
da Ungaretti ho imparato l'amore per la sintesi, la possibilità
di "gettare" le parole come pietre arricchendole di una forza
nuova;
di Lorca ho amato la musicalità del verso e la straordinaria
ricchezza immaginifica;
in Lee Masters ho visto la capacità di rievocare con partecipazione
e sapienza la drammatica ricchezza della vita;
e l'elenco potrebbe continuare all'infinito.
Ma citare solo qualche autore significa fare torto a tutti gli altri
- da tutti ho tratto qualche cosa di importante - anche da quelli, e
sono molti, che non hanno uno stile particolarmente interessante o contenuti
modesti: da loro ho imparato come non si deve fare.
Mi pare che sia costante nelle tue poesie la ricerca della Verità,
quella con la V maiuscola... ecco, da cosa nasce questa tensione...
questa volontà di creare quel mondo "meno teatrale"
e "meno selvaggio"..
Non mi sono mai proposta di cercare la verità
con la V maiuscola, sarebbe credo da parte mia, un atto di presunzione.
Forse questa impressione ti deriva dal fatto che cerco, come ti dicevo
all'inizio, di approfondire la comprensione dei temi a cui mi avvicino,
filtrandoli attraverso un punto di vista diverso da quello con cui spesso
vengono accettati un po' meccanicamente senza sottoporli a valutazione
critica. La verità assoluta, per chi ci crede, può essere
solo di un Dio.
Secondo Te oggi si sta perdendo la propria soggettività, sacrificandola
alla massificazione?
- Il problema delle comunicazioni generato dal rapporto "io"
e "l'altro" quanto va a deteriorarsi oggi la comunicazione
con la globalizzazione mediatica?
Nel senso che magari non si conosce il vicino di casa però siamo
amici di persone dall'altra parte dell'oceano... questo secondo Te,
quanto può influire sul lato sociale e soprattutto artistico?
E' la prima volta che nella storia dell'umanità,
si verifica quel fenomeno che va sotto il nome di comunicazione di massa
e come tutti i fenomeni importanti anche questo inevitabilmente influisce
in modo determinante sia sull'individuo che sulla società.
Si assiste, come ognuno di noi può constatare nella sua esperienza
di vita, ad una doppia tendenza.
Da un lato la voglia di valorizzare la propria personalità -
sono sotto gli occhi di tutti fenomeni di esibizionismo televisivo,
nel tentativo di emergere dalla massa - e nello stesso tempo la necessità
di omologarsi ad un trend comune per sentirsi parte di qualche cosa
di più grande, per appartenere insomma a un gruppo nel quale
sentirsi protetti e accettati. E' una schizofrenia che prende il singolo
e la società - vediamo la tendenza delle piccole comunità
a valorizzare tutte le realtà locali e nello stesso tempo l'ansia
di partecipare ad aventi globali.
Penso che la comunicazione "mediatica" non sia la diretta
responsabile dell'impoverimento dei rapporti umani mi viene da credere
che questo dipenda soprattutto dal fatto che i mezzi di comunicazione
attualmente ci permettono di accedere a una enorme quantità di
informazioni con una velocità di contatti impensabile solo qualche
anno fa, e questo ci offre la possibiltà di compiere moltissime
cose in tempi strettissimi questa straordinaria mole di lavoro brucia
le energie, accelera ogni nostro gesto e non consente pause di riflessione.
E' solo nell'intervallo che noi possiamo accorgerci dell'altro, possiamo
sentirne la presenza accoglierlo e ascoltare le sue esigenze.
Questo comporta un dispendio di forze affettive che non è richiesto
nelle comunicazioni a distanza attraverso le quali possiamo presentarci
come più ci piacerebbe essere senza timore di essere giudicati
o di essere coinvolti emotivamente.
Il massimo vantaggio con il mimino sforzo.
E' indubitabile che ogni evento sociale si ripercuote anche sulla produzione
artistica, infatti si può riscontrare una grande varietà
di tendenze creative che riflettono l'incredibile complessità
sociale odierna. Ogni artista raccoglie gli stimoli che gli arrivano,
che sono sempre più numerosi e diversificati, e li rielabora
liberamente, mettendo in difficoltà anche i critici che non sono
più in grado di identificare correnti di pensiero omogenee.
Credo che dovremo sempre più abituarci ad accettare questa diversificazione,
questa frantumazione come elementi caratterizzanti della nostra società
post-moderna nella quale è sempre più difficile collocarsi
nella linearità di una storia personale o sociale che sia.
Curiosa è la scelta in AI CANCELLI DEL FLUSSO di non dare nomi
a ciascuna poesia... potresti mica spiegarmi meglio questa scelta? E'
molto curiosa...
Ai cancelli del flusso è la prima raccolta
che ho digitato direttamente al computer. Il flusso del titolo è
riferito al flusso immaginativo che lo strumento elettronico mi permetteva
di fissare in modo veloce e immediato.
Fino ad allora le mie raccolte erano, come dicono i critici, "liriche
d'occasione" nel senso che erano dettate da un evento o da un'idea,
da un'impressione che mi colpivano e che io tentavo di trasporre in
poesia. Mi sono resa conto, col tempo, che concentrando il lavoro su
un determinato tema andavano perdute tutte quelle immagini ricche di
suggestione e freschezza che comunque mi appartenevano in modo intenso
anche se non meditato.
Il libro è appunto la voglia di raccogliere anche queste immagini.
Mettere un titolo sarebbe stato fuori luogo: i flussi sono difficili
da identificare.
Nell'ultima opera, AMORE DI VERSI, Ti concetri su un argomento specifico,
ritornado come da un viaggio più globale attuato nelle altre
opere... scorgo una visione come di "compromesso", posto a
diversi livelli contrattuali a seconda del legame...sottointendendo
il discrime labile tra Amicizia e Amore... ecco, a parte l'intro di
Nietzsche, peraltro molto suggestiva, cosa rappresenta per Te oggi l'Amore...
Amori di versi è un volumetto costruito
con liriche che nel tempo avevo dedicato all'amore e che ho voluto riunire
in un'unica raccolta per dare maggior forza ed efficacia al tema.
Le forme di amore sono infinite come infinite sono le sensibilità
di chi lo prova e l'intento era proprio di sottolineare questo concetto.
Per quanto mi riguarda personalmente - potrei cavarmela con qualche
bella citazione o con una battuta, ma non voglio farlo - credo poco
nell'amore-passione preferisco pensare ad un rapporto che abbia radici
in una condivisione più vasta delle esperienze di vita.
Riccorre spesso questo Tuo sentirsi "out" dal mondo, una "non
omologata" (...come recita un testo che appare nel sito della nostra
associazione...)...ecco, cosa Ti porta a sostenere questo?
Credo che derivi da una deformazione professionale.
Chi scrive è obbligato a sdoppiarsi: deve partecipare intesamente
alle situazioni che descrive ma nello stesso tempo deve allontanarsene
per poterne cogliere tutti gli aspetti e avere la necessaria lucidità
per riproporle.
E' una caratteristica in parte genetica che con il tempo si fa sempre
più forte e finisce per farti sentire continuamente fuori posto,
in bilico fra queste due esigenze esistenziali.
Ecco, stilisticamente la Tua poesia appare molto ricercata, agli inizi
soprattutto per ciò che concerne le rime (per esempio "Nonsense")...
quanto conta secondo Te l'erudizione all'interno di una stesura poetica
?
Non so se la mia poesia sia come dici tu"stilisticamente
molto raffinata" so però che fra i tanti compiti a cui la
poesia è chiamata non ultimo viene quello di rinnovare la lingua
"ricucendo le ferite del disordine con l'ordine della scrittura"
come diceva Proust oppure aprendo " le ferite contro il finto ordine
del mondo" come diceva Dos Passos.
Chi scrive, se ha un minimo di rispetto per il suo lavoro e per sé
stesso, tenta di fare l'uno e l'altro.
Come ogni lavoro anche la poesia ha bisogno di strumenti.
Gli strumenti dello scrittore sono solo parole: strumenti delicati che
vanno maneggiati con cura.
Imparare a farlo significa essere eruditi? io non ne sono convinta.
E' un termine troppo arido e poco adatto ad esprimere quella commistione
inscindibile di intuito e necessità rielaborativa, insomma di
forma e contenuto indispensabili per ottenere qualche risultato decente
in qualsiasi campo artistico.
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